sabato 27 agosto 2011

IL PRIMO RICCIO NON SI SCORDA MAI






Dalla strada si infila in un sentiero stretto tra le canne. Camminiamo in fila indiana perché il canneto è così fitto che non c’è spazio per stare affiancati; le canne che si riavvicinano dopo il nostro passaggio fanno l’effetto di un mare verde che si richiude.
Sbuchiamo su una spiaggia di roccia a lastroni grigiastri ondulati, intervallati da buche. Sembra un paesaggio lunare.
“Ecco Funnumunnu”.
“Cosa?”
“Funnumunnu, in fondo al mondo, questo posto lo chiamano così”.
“E’ bello. Sembra la superficie della luna. Forse lo chiamano così per questo”.
“Qualcuno dice che è questa la vera fine della costa, non il capo. Che è qui che si incontrano i due mari”.
“E lei cosa dice?”
“Io? Nenzi. Niente. Mi piace e basta e poi è davanti casa. E’ l’unico posto dove faccio in tempo a fare il bagno prima di riaprire il negozio. Anzi, meglio che mi sbrigo”.
Si toglie il cappello di paglia e lo lascia cadere su un lastrone, stende con un solo gesto l’asciugamano e altrettanto rapidamente si sfila il vestito. Lo spogliarello più veloce e mozzafiato cui abbia assistito in vita mia. Il suo corpo è una piena di carne trattenuta dal costume, è ancora più di quel che immaginavo.
“Be’, lei non fa il bagno?”
“Sì, certo”.
Per fortuna stamattina non ho messo i pantaloni o i jeans ma ho un paio di calzoncini corti che anche se non sono un vero costume possono andare lo stesso.
Da uno dei lastroni la vedo entrare in acqua con grazia, come se scendesse una scala invisibile.
“Da qui la scesa è facile oppure si può tuffare da quello scoglio più alto accanto” mi grida dall’acqua. A piedi nudi sui lastroni lunari cammino sbilenco come un ubriaco, invidiando la sua dimestichezza elegante. Scalzo non sono capace di muovermi su queste rocce. Tra la discesa e il tuffo non ho dubbi. Mi butto di slancio e in un attimo sento che tutti questi giorni uguali non sono stati che la rincorsa di questo tuffo. Nuoto verso di lei, anche lei mi viene incontro. Siamo così vicini che le nostre gambe si sfiorano nell’acqua.
“Ce l’ha un coltello?” mi chiede a bruciapelo.
“Cosa?”
“Va bene anche un coltellino di quelli piccoli”.
“No, che ci deve fare?”
“Qui è pieno di ricci, sono buoni, li ha mai mangiati? Mi basta anche un sasso piccolo. Ecco, questo può andare”.
Prima che risponda, con la sua arma rudimentale è già sott’acqua a staccare i ricci dagli scogli. La guardo ammirato nuotare in apnea attraverso l’acqua trasparente e tornare su ogni tanto a prendere fiato e a riportare le sue prede. Quando ne ha poggiati una ventina sullo scoglio più vicino li guarda soddisfatta.
“Mi aiuti a portarli su”.
Ne prendo quanti riesco a tenerne nelle mani senza stringere e salgo la scala di scogli nascosta nell’acqua. La guardo uscire dal mare con i capelli fradici lungo il viso e il collo, i capezzoli dritti per il cambio di temperatura, le mani piene dei frutti della sua caccia, e mi sembra una divinità marina antica, una Artemide-Diana cacciatrice del mare. Devo riuscire a controllare la mia erezione, per fortuna i pantaloncini sono larghi.
Posa i ricci neri sull’asciugamano e mentre muovono all’aria gli aculei tira fuori dalla borsa un paio di forbicine, ne prende uno in mano, lo taglia a metà nel senso della larghezza, lo apre in due e fa così con tutti, uno dopo l’altro. Sono affascinato dalla sicurezza delle sue mani, dalla noncuranza con cui recide la vita in movimento.
“Lasci le metà vuote, prenda quelle piene che vanno sciacquate”.
Come un aiuto cuoco in erba eseguo zitto e la seguo all’acqua. Li passa in mare uno ad uno finché all’interno di ognuno non restano che cinque strisce mollicce gialle o arancioni che compongono come una minuscola stella marina.
“Solo questa parte si mangia. Si fa così”.
Infila la punta della lingua nel mezzo guscio e lecca le strisce una per una. La guardo ipnotizzato.
“Be’, aspetta il permesso?”
Mi viene da ridere. La imito. Infilo la lingua nel riccio e lecco anche se mi fa un po’ senso, e ripenso ai rari tiri di coca della mia vita. Non ci posso credere. E’ più buono di un’ostrica. Sembra di mangiare una gelatina di mare concentrato. E poi. Il sapore. Il sapore che lascia in bocca è lo stesso che rimane dopo aver leccato una donna. Mi prende una vertigine. Penso a come potrebbe essere il sapore di lei e per una frazione di secondo mi vedo stenderla, abbassarle il costume e affondare la bocca in mezzo alle sue gambe.
(…)
“Sono femmine”.
“Cosa?”
“Quelle che abbiamo mangiato erano tutte femmine: sono solo le femmine che si mangiano”.
“Ah. Non lo sapevo”.
“Le femmine si fanno mangiare sempre”.
“Be’, non tutte. Ci sono tante donne mangiatrici di uomini”.
“Se mangiano è perché qualcuno ha mangiato loro prima”.
“E’ stato così per lei?”
“Le sembro una così?”
(…)
La seguo a ritroso lungo il sentiero che fende invisibile il canneto, respirando l’odore salato che sale dalle sue spalle, dai capelli ancora bagnati. La seguo fino al cancello di ferro battuto dove lei si gira e mi pianta addosso gli occhi, immobile. Quello sguardo nero di animale che ho visto la prima volta al negozio.
“Be’, arrivederci”.
Di nuovo vuole che me ne vada. E’ la canicola, nessuno per strada a quest’ora, tutti ritirati al riparo dal caldo. Forse ha paura che potrei spingerla dentro il cancello e prenderla a forza sul prato, contro il muro della casa, dove capita, ed è esattamente quello che il mio sangue pensa, il sangue che mi ha gonfiato in modo evidente e scandaloso. Le tendo una mano perché me la stringa, sperando nel contatto mentre mi infilo le unghie dell’altra nella coscia per distrarmi.
Mi dà la mano con la forza di un uomo: “Meglio che si fa una doccia, prima di ripartire per i suoi giri”. Mi pianta così, lasciandomi a chiedermi se si è accorta del mio stato o se era semplicemente un invito a togliermi di dosso il sale.

(Il bacio della tarantola, Giovanna Bandini)



Ho voluto aprire il mio post con questo brano perché la sua lettura mi smuove qualcosa dentro, facendomi rivivere le intense emozioni ed il candido stupore del mio primo incontro con un riccio di mare. Il ricordo è forte ed indelebile nella memoria. Ero piccola e accompagnavo mia madre al mercato ittico: quel giorno per pranzo era prevista pasta con il pesce e bisognava acquistare la classica 'nfilata. La mia curiosità di bambina fu stuzzicata da un banchetto marmoreo interamente ricoperto di ricci che brillavano al sole acquisendo sfumature verdi, violacee e rossicce. Essendo appena pescati, quindi vivi, si muovevano; io, percepito quel movimento, restai imbambolata a fissarli per non so quanto tempo. Ad un certo punto la mano gentile ed incartapecorita di un pescatore che stava aprendo gli echinodermi con ammirevole maestria mi porse un mezzo riccio esortandomi ad assaggiarlo. Avevo paura di tutte quelle spine ed anche l’invito a mangiare un animale vivo mi riusciva tutt’altro che allettante; ma mia madre mi mise il riccio sul palmo della mano dicendo che a tenerlo così, senza stringerlo, non succedeva niente. Fu lei stessa a spiegarmi come mangiarlo: dovevo leccare le strisce arancioni disposte a raggiera. Raccolsi con la lingua il primo “spicchio” e un sapore dolce, sensuale, intrigante invase e soggiogò le mie papille. Da allora il “paracentrotus lividus” (volgarmente ed erroneamente detto “riccio femmina”) è diventato il mio più grande amore culinario, tanto da perdonargli tutte le volte in cui, passeggiando vicino agli scogli, le sue spine si conficcavano nei miei piedi nudi spezzandosi in profondità ed obbligandomi a dolorosi ed estenuanti tentativi di estrazione a suon di ago ed alcool etilico. Certo, sapere che quelle “strisce arancioni” così prelibate ed attraentemente odorose di iodio sono le gonadi dell’animale, ovvero il suo apparato riproduttivo, un po’ di senso lo fa, ma basta non pensarci, chiudere gli occhi e gustarsi il mare in bocca!
Quest’estate, nel corso della consueta capatina al pittoresco mercato storico del pesce situato nella città vecchia, ho scattato qualche foto all’immancabile banchetto dei ricci, principale attrattiva per i turisti, e ai pescatori che stavano preparando i barattoli di polpa di riccio da passare ai ristoratori gallipolini; polpa freschissima, pronta a sprigionare il sapore e il profumo del mare in sfiziose bruschette, irresistibili antipasti e primi spettacolari. Un intero menu a base di riccio io sono andata a gustarmelo a La briciola, un ristorantino vicinissimo al mercato ittico (basta salire la scalinata, attraversare la strada e dirigersi a sinistra: sono pochi metri). Ve lo raccomando caldamente per la bontà dei piatti, i prezzi contenuti, il servizio cortese, l’atmosfera “di casa” e la simpatia del bravissimo cuoco, Antonio, che ringrazio anche da qui per avermi deliziato con le sue indimenticabili linguine ai ricci!




















Bruschetta ai ricci di mare del ristorante "La briciola" (Gallipoli)





Linguine ai ricci di mare del ristorante "La briciola" (Gallipoli)















Monumento al riccio (Gallipoli)







5 commenti:

  1. Ciao Lucia!
    Grazie di cuore per la tua preziosa visita al mio blog: è un piacere fare la tua conoscenza e ricambiare il gesto, scoprendo il tuo diario così ben strutturato per gola e racconti.
    Senza alcun dubbio adoro i libri e le storie di cui sono portatori, pertanto è stato davvero godurioso leggere questo tuo interessante post sui ricci di mare e la citazione scelta.
    Un libro che ha attirato la mia attenzione al punto tale da farci un pensiero per un'eventuale compera futura!
    Mi permetto di aggiungere Ambrosia e Nettare tra i miei preferiti, aggregandomi ai tuoi followers molto volentieri.

    In quanto alle brioches, ti assicuro che è tutto fumo e niente arrosto: una volta presa la mano sull'«arrotolamento» della pasta, vedrai che vengon su una dopo l'altra!

    A presto risentirsi.

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  2. Grazie per la lettura! e grazie anche per questa ricetta, ho mangiato una volta sola la pasta con i ricci e mi sono commossa dalla bontà:)

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  3. Ciao, non abbiamo ancora avuto occasione di fare incontri di questi tipo...anche se certi si ricordano!
    Che piatti semplici e gustosi...tutto a base di ricci e invitantissimi.
    baci baci

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  4. viaggio da meraviglia!!! ma sai che anche io ho mangiato ricci per la prima volta proprio qualche settimana fa??? deliziosi!!! bellissime foto, emozione!!! baci

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