martedì 10 agosto 2010

DI GALLIPOLI, FONTANE E ZUPPE

Se state curiosando per Gallipoli masticando “samienti” (semi di zucca) e "mendule frische" (mandorle fresche), com’è usanza del luogo, e siete giunti all’inizio del ponte che collega il borgo nuovo alla città antica, prima di avventurarvi nell’intrigante dedalo di vicoli e stradine tortuose che vi condurrà in una dimensione quasi irreale tra figure di altri tempi (fanciulli felici del nulla che giocano a pallone a piedi nudi e pescatori dalla pelle bruciata intenti ad intrecciare nasse davanti all’uscio di casa), gettate un’occhiata alla vetusta fontana di pietra sita nelle immediate vicinanze, di fronte all’austero castello angioino.






Soffermatevi sul “lato B”, quello rivolto a scirocco, e lasciate che le sculture che lo ornano, fascinosamente corrose dal tempo e dalle intemperie, narrino ai vostri occhi le metamorfosi di Dirce, Salmace e Biblide.





Questa sono io, in una foto dello scorso agosto, e alle mie spalle ci sono Salmace ed Ermafrodito, avviluppati in un abbraccio eterno ed indissolubile: ninfa di una fonte lei, figlio di Ermes ed Afrodite lui. Un giorno il giovane, che pare fosse di un’avvenenza da urlo, si bagnò nelle acque della fonte di Salmace e la buongustaia ninfa se ne invaghì. Avendo realizzato di non essere minimamente ricambiata, con astuzia tutta femminile attirò lo schizzinoso tra le sue braccia e a quel punto, ahimè, implorò gli dei affinché la congiungessero per sempre all’amato. Mentre Ermafrodito, poveraccio, tentava di divincolarsi con tutte le sue forze, gli dei esaudirono l’accorata preghiera, cosicché dalla fusione dei due corpi risultò un unico essere, metà uomo e metà donna. Ermafrodito (magra consolazione!) ottenne dai suoi genitori l’imperitura maledizione della fonte di Salmace, per cui ogni malcapitato maschio che si fosse tuffato in quello stagno ne sarebbe uscito effeminato. I Greci erano insuperabili nell’inventare quelle deliziose frottole che ancora oggi si studiano sui banchi del liceo con il nome di “miti”. Per le vicende di Dirce e Biblide vi rimando a Wikipedia: la prof è in vacanza! :-D
Ho voluto dedicare l’incipit di questo post alla fontana ellenica di Gallipoli perché oggi, con la scusa di proporvi un piatto gallipolino, desidero parlarvi un po’ della città che mi ha dato i natali (causa nostalgia smodata) e non potevo non partire dal monumento più famoso nonché maggiormente evocativo della sua anima greca. Pur essendo sorta ad opera dei Messapi (di stirpe illirica), Gallipoli, ex colonia magnogreca, ha infatti subito l’influenza greca così profondamente da mutare il nome messapico di Anxa in quello di Gallipoli (da Kalè polis, “città bella”, come usavano chiamarla, appunto, i Greci) e da inventarsi una leggenda sulla propria fondazione che (alla faccia della realtà storica e dei Messapi) vede come eroe fondatore nientepopodimeno che il re cretese Idomeneo, appena reduce dalla guerra di Troia.
Anche la cucina gallipolina rivela lo stretto ed inscindibile legame del mio paese con la cultura greca: il piatto che vi presento oggi, la “suppa alla caddhipulina”, viene fatta discendere direttamente dal brodetto nero spartano! In realtà le due pietanze hanno in comune ( per fortuna!!!) oramai ben poco. Il famigerato brodetto in questione, a base di carne, sangue, aceto e cipolla, era talmente rivoltante da indurre il tiranno di Siracusa Dionigi I, il quale, incuriosito, aveva voluto assaggiarlo, a sputarlo in faccia al cuoco spartano che gliel’aveva preparato. Non ci vuole un genio per comprendere l’evoluzione della pietanza: evidentemente, in tempi in cui la carne costituiva un lusso che ben pochi potevano permettersi, le massaie gallipoline la rimpiazzarono con il pesce che i loro uomini portavano a casa come bottino delle uscite in mare fruttuose, lasciando invariati gli altri ingredienti: l’aglio, la cipolla e l’aceto. Un bel giorno una mano geniale aggiunse al brodetto qualche “cummitoru te pendula” (pomodorino da pendola, che i Greci antichi non potevano conoscere perché l’America non era ancora stata scoperta) … un ciuffo di prezzemolo… un pizzichino di origano… e voilà! Era nata la superba zuppa vanto e decoro dei ristoranti gallipolini.
Cimentandomi per la prima volta nella preparazione della zuppa, non mi sono fidata delle versioni  reperibili in Internet, affidabili "forsechesìforsecheno": ho preferito “andare sul sicuro” seguendo la ricetta di mammà. Ovviamente mi sono dovuta accontentare del pesce bergamasco: è vero che sono andata ad acquistarlo in una pescheria siciliana che si fa arrivare i prodotti ittici dalla madrepatria per via aerea, evitando quello stradefunto e ammoniacale del supermercato che avrebbe restituito alla zuppa il disgustoso sapore del primigenio brodetto, ma volete mettere il pesce zompante appena scaricato dai pescherecci, venduto dagli stessi pescatori ad un prezzo irrisorio rispetto alla freschezza e alla qualità della merce? Va bene, ho cianciato abbastanza: andiamo ad iniziare!




SUPPA ALLA CADDHIPULINA
(ZUPPA ALLA GALLIPOLINA)









INGREDIENTI PER DUE PERSONE:


uno scorfano del peso di 600-700 grammi


una manciata di seppioline o calamari (o tutti e due)



due tranci di rana pescatrice



almeno quattro gamberoni gallipolini (in mancanza di questi utilizzate i rossi mediterranei)



quattro scamponi



mezzo chilo di cozze



due grosse cipolle



due spicchi di aglio



un mazzettino di prezzemolo



400 grammi di filetti di pomodoro fresco



un bicchiere di olio extravergine di oliva



mezzo bicchiere di ottimo aceto di vino bianco



un pizzico di origano



4 fette di pane casereccio









Per prima cosa preparate il brodetto nel quale dovrà cuocere il pesce. Fate dorare nell’olio le cipolle tagliate a rondelle e gli spicchi di aglio sbucciati e schiacciati; unite i filetti di pomodoro e il prezzemolo tritato. Coprite con abbondante acqua salata (circa un litro e mezzo) e fate ridurre il liquido della metà.






Nel frattempo pulite le cozze, lo scorfano e le seppioline; tagliate il pesce a pezzi (io l’ho lasciato intero, in tutta la sua bruttezza) e le seppie a striscette. Appena il brodetto sarà pronto, ravvivatelo con l’aceto ed aromatizzatelo con l’origano. Immergete nel liquido prima le seppie; dopo una decina di minuti lo scorfano, quindi la rana pescatrice, gli scamponi, i gamberoni ed infine le cozze (chiuse nel loro guscio: si apriranno nel brodo).  Calcolate da un minimo di dieci ad un massimo di quindici minuti di cottura in totale dall’immersione dello scorfano; non di più, altrimenti il pesce si disfa.






Mettete il pane nelle fondine, distribuitevi sopra il brodetto filtrato con il suo prezioso contenuto e servite.
Ideali per questa zuppa sarebbero fette di pane salentino (e ribadisco salentino: il pugliese è un’altra cosa) raffermo; non avendolo, potete arrangiarvi con del comune pane casereccio, tostato o fritto (ma sappiate che è come sostituire le ostriche con le cozze).






A chiusura di questo “post nostalgico” allego altre foto scattate durante la spensierata vacanza dell’agosto 2009 nella mia “kalè polis” :-)
































































5 commenti:

  1. Ciao Lucia, bellissimo il tuo reportage fotografico dedicato alla cara vecchia Gallipoli, sempre pronta ad offrirci scenari fantastici!!! la zuppetta è fresca e leggera, fatta con ingredienti genuini!!! un bacione tesoro

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  2. Bellissimo post, davvero fatto bene! Complimenti!

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  3. cibo di mare, racconti di mare e foto di mare... tutto molto bello! complimenti!

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  4. Eccoci, siamo passati e diventati tuoi sostenitori.... Inevitabile dopo aver visto il tuo blog e questa golosissima ricetta ...

    Ciao a presto ...

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  5. Grazie per come hai raccontato e descritto la nostra amata città!!!
    tutto stupendo,nessuno avrebbe fatto meglio.

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